Onore di pianti

In memoria dei martiri di sicilia

 

Coro

Muore solo una volta il coraggioso

e cento e mille il vile se si piega

a voglie del potente, che nell'ombra

vive strisciando ed esce all'improvviso

incapace di accogliere la luce

così accecato che uccide il fratello.

 

Giovanni

L'aria calda sostiene le mie ali

e volo su Palermo in questo dolce

di aranci e fichi d'india, mentre il sole

annienta i sentimenti e dà ai colori

un fondo così forte che per poco

l'azzurro non è cupo e la verzura

precocemente si conforma al nero.

Nelle più antiche strade il sangue pare

fluire nelle vene lentamente

e inondare i selciati con uguale

solenne noncuranza. Intanto il mare

resta distante rifiuta di entrare

a lavare i rioni e spalancare

al gusto della vita al vero sale

quelle soglie avvilite, i bei portali

cui nell'ombra ristà pietra dei cuori.

Torno a casa stamani: fra due chiese

soffocate di statue e paramenti

passavano gli ambigui sacerdoti

confortando i morenti e gli assassini.

Ma noi corremmo giovani giocando

con il sangue ben chiuso, cui nessuno

intagliava le vene, c'era Paolo

che prendeva la palla e mi guardava

calmo, cercando il punto dove il gioco

si annunciava vincente, non ricordo

se già qualcuno negli occhi tenesse

quella luce ferigna che fa vile

ed insegna a mentire molto prima

che la corda si stringa per strozzare.

Questa sera saremo lungo il mare

noi della vecchia squadra ed i ragazzi

sulla spiaggia a tirare immersi, accesi

del giorno arroventato che dà il rosso

alle braccia ed al vino sui declivi

fino al cuore dell'isola. Chi dice

che sia una carne senza nessun lume

il suo rinchiuso troppo scuro cuore...

 

Paolo

S'è sentito un rumore su dagli antri

del monte Pellegrino, in queste ore

già vicine alla festa: zolfatari

per secoli compressi da miniere

spietate verso gli occhi ed il respiro

vagano in mezzo a noi spiritualmente.

Ma non quel colpo orrendo, come un tuono

nel cielo d'aeroplani dilatato

dalla lama di roccia a Punta Raisi

verso la mia città e lanciato al mondo.

Hanno scavato, i vermi, nella roccia

e secreto una polvere maligna

bianca che ci tradisce: il contadino

delle saline abbacinato al tempo

del raccolto pian piano riponeva

il sale della terra. Qui si appanna

il cristallo degli occhi di un veleno

che mesce ovunque il rosso e vi confonde

l'estate e la tua vita, i sacramenti

nel Duomo soffocato, il grande sfarzo

dei palazzi barocchi e quei tendaggi

tra cui si muove l'ambigua nidiata

raffinata e volgare. Gli assassini

riposano così nell'ombra e a Roma.

 

Manfredi

Padre, quel giorno tu fosti gentile

posando le tue mani su Giovanni

che aveva perso il suo corpo a brandelli

ma con te continuava a ragionare

degli uomini e del tempo. Tu sapevi

d'essere già con lui, ma non ancora.

Ci fu molto silenzio, in primavera

le luci sono lunghe e rimanevi

muovendo appena gli occhi e le labbra

tra i fogli del tuo tavolo fin tanto

che il tramonto accendeva le vetrine

dell'alta libreria. Sembrava sempre

la stessa casa, questa che volava

al soffio della sera come tante

dalle isole greche ai lidi bianchi

mediterranei e nessun altro al mondo

per splendore dell'aria dopo il fuoco.

Ma un vento caldo bestiale violento

uccise il tuo respiro e fece forza

contro la porta e i vetri, strinse i cuori

fino a farli scoppiare e impose ai muri

quel rosso di Sicilia spaventoso.

 

Coro

Intorno al Colosseo gira la giostra

di lucide vetture cui tendine

celano il volto a gente senza occhi.

Stanno nascoste belve nelle celle

di pietra inumidita o fra i cristiani

che non le riconoscono e confusi

di tanto in tanto gridano atterriti

ravvisando l'insidia, oppure lieti

per il verde del campo là nel mezzo

a qualche cosa osannano che dentro

non sanno più che sia se non la brama

di librare la voce. Tra di loro

così raccolti che fare o subire

sarebbe in moltitudine grandioso

il bene o il male, si sparge confusa

con quella dei gradini che si sfanno

del loro anfiteatro un'acre bianca

polvere sollevata da quel giro

senza sosta là fuori e fino ai segni

di rotte d'aeroplani e nuove navi

con anfore diverse donde l'olio

e cacciato per sempre. Mani intatte

dall'aria e dal lavoro fanno segni

definitivi: s'inchinano servi

e vanno per diffondere alle genti

la cattiva novella. C'è Pilato

in molte stanze di accesi palazzi

di tanti ancora però più innocente.

Ma questo già sapevano Giovanni

e Paolo, da Palermo, sorridendo

del proprio cuore intatto e di speranza

che si salvasse il sangue dei ragazzi

dal bianco che vi scioglie debolezza

mortalmente sottile. Sempre a sera

tra le città correvano vetture

per prendere denaro dai morenti

e consegnarlo alle candide mani

di tanto in tanto macchiate e rifatte

di sasso come l'orbita dei volti.

Non venite a Palermo, non tornate

a pianti e funerali che quel giro

non rifugge ed inquina traversando

le strade e le navate proprio quando

grida la voce al margine del senno

della donna il cui sposo è già di terra.

Sentite: a Roma si ferma il silenzio

di centomila chiusi nello stadio.

Ma se venite qui cercate dove

si ride in quei momenti e ride osceno

l'assassino cui battono sui vetri

di amplissime finestre i quieti raggi

dello sfinito Tevere. Nessuno

degli eroi d'una volta vi veleggia...

 

Vescovo

Vorrei potervi dire, e infine dico

che nonostante tutto Dio perdona

a chi piega i ginocchi. Contro il tempo

chiamo però l'inferno ai peccatori

protervi fino all'ultimo: ma dove

troverò le parole che si aspetta

questa folla scorata cui non viene

né un principe né un capo per scandire

le sillabe più giuste, quelle sole

necessarie e precise alla misura

già scavata nel cuore. Dove allora

vi parlerò di Roma non per dare

la carezza del Papa per i figli

e il grave ammonimento dal balcone

sulla piazza del mondo, ma di Roma

che si nutre di indugi e resta ancora

famosa di congiure. Anche i miei preti

stanno talvolta chiusi nei paesi

al limitare dell'ombra del duomo

non solo per canicola, ma a loro

io levo la mia voce e so chi sono

per convertirli prima di morire.

Proteggete i palazzi, non chiedete

che Dio vi custodisca i grandi banchi

del popolo sovrano, quando in tanti

piegate senza fine a una vacanza

punteggiata di eroi, quindi di morti

fattisi testimoni in vece vostra.

Io confermo quel Dio che al Suo momento

saprà espugnare i cuori: ma ciascuno

difenda la città, voi, reggitori.

Ora tornate a casa, appena spento

questo sole lunghissimo che cala

alle colonne d'Ercole, pensate al

destino più umano, una scintilla

chiamatela col nome dei fratelli

passati all'altra sponda. E ricordate.

 

Giovanni

Vedo di qua quell'isola stupenda

lussureggiante ed aspra, il suo vulcano

ed i templi insidiati. Nei teatri

si parla degli eroi, ma tra la gente

corre il tuo nome insieme con il mio.

Distinguo grandi folle e il loro corso

avanza lentamente mette in fuga

radi figuri con lunghi fucili

che vanamente implorano quei pochi

di restare con loro, piano piano

scompaiono alla vista vanno forse

sbiadendo come vermi in un terriccio.

Non c'è suono di bravi e di minacce

di cui mi molestava un po' il brusio

ed urtava i pensieri, sento invece

la voce degli altri i cari amici

che disegnano case del futuro

e giornate di pace, poi qualcuno

si leva in loro nome e chiaramente

racconta questi giorni, a quella folla

dice parole oneste che hanno forza

ed una forma così misteriosa

che si compone in nomi e forse in volti

come li aspettavamo. Tu lo sai

di quelle sere quiete nonostante

armi e reticolati quando insieme

si diceva tra noi della giustizia

parola fatta carne, di Sicilia,

dove nascemmo, la mia bella casa...

 

Paolo

Mi piace ricordare, così ancora

vivo quell'aria che mi fu strappata

ed era popolata dei miei figli.

Aspetto e sto in silenzio, ma capisco

quello che nelle strade si disegna

e risponde ad un tuo capolavoro,

come giocando trovavamo i passi

contenti d'aver vinto quella sera.

Quando sarà avvenuto, noi potremo

dimenticarci: e questo volevamo.

 

Coro

Riprende il moto intorno ai monumenti

e sontuose fontane dove l'acqua

giungeva per comando dei potenti

quando nei solchi il verde di piantine

si faceva di gesso e disperava

l’uomo impotente che vagava a sera

con le reni spezzate per spiare

quella morte decisa in obbedienza

di chi stava lontano, riparato

da nomi di rispetto e da lupare.

Ora l'acqua ritorna ma gli ignoti

di cui la servitù sussurra i nomi

chiedono e danno sollevando un dito

l'afflusso della morte; negli orti

intorno alla città, dolci, di terra

che nutre i pomodori distillando

la violenza del sole, s'alza a caso

il grattacielo assurdo, piatte schiere

volute dai signori come intorno

nel medioevo casette al castello

Cui ciascuno inclinava, ma sapeva.

L'aria e la terra, i ponti ed il lavoro

tra voi ma non i vostri: allora servi

mentre batte il millennio e il vostro genio

così dolente manca del suo sogno

che qualche volta finge non averlo.

Ieri li vedevate. Ed oggi sono

in un albero, nell'urlo di spavento

placatosi nel fervido disegno

del vostro patto. Si svelava in viso

la loro linfa indigena, la calma

che dà la conoscenza della morte

e il lampo degli occhi per la vita.

Morti di tutti noi che dubitiamo

di nominare la terra dei padri

col nome proprio, usurpato e vivo.

Non li vediamo, com'essi hanno avuto

reciso dall'arbitrio il loro filo

concesso solo al Dio, ma lì sentite

passare nei giardini donde è fatta

la riva di Sicilia e convocare

gli amici da una parte, rivelando

come l'altro millennio avrà soltanto

ricordo della polvere sprezzata

dei pezzi della mafia, innominati

se non come vigliacchi. Ma di loro

Paolo Giovanni Carlo Alberto Antonio

la memoria è tra noi, per dare vita

quanta concede a chi rimane ancora

l'ombra dura e solenne. Per chiamarci

al cospetto di noi, dovunque, a sera.

Adriano Sansa

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